Fake News, parola dell’anno 2017
Secondo gli autori del celebre dizionario di lingua inglese Collins Dictionary è “fake news” la parola dell’anno 2017. Al primo posto – e la cosa non ci sorprende affatto – c’è il termine entrato prepotentemente nel linguaggio tecnico dalle teorie sui social network alla comunicazione politica.
Ma cosa significa Fake News?
Nel dizionario Collins il significato di questa locuzione viene così descritto: “informazioni false, spesso dal tono sensazionale diffuse come notizie”. A partire dal 2016 l’utilizzo di questa frase Fake News è aumentata addirittura del 365%. Il motivo di questa crescita esponenziale è da ricercare con direttamente durante gli eventi delle elezioni presidenziali del 2016 in USA. Popolarità certificata dal costante utilizzo di questo termine da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha usato questo neologismo spesso nei media. La vittoria delle false notizie come parola dell’anno di certo non è un fulmine a ciel sereno. Basti pensare che la Oxford University Press ha riconosciuto la locuzione “post-truth”, cioè post verità, come parola dell’anno 2016. Il termine post-truth indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza. Ciò significa che la notizia viene percepita dal pubblico come vera dal pubblico senza un’analisi sulla veridicità dei fatti reali. La diffusione dell’idea di “post-verità” è indissolubilmente legata a due eventi recenti: la Brexit e la vittoria elettorale di Trump. Il concetto è stato richiamato nel corso della campagna referendaria per la Brexit, alimentata dalla diffusione di paure e cifre palesemente inverosimili. E ancor più durante la battaglia tra Trump e Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca. A coniarla per la prima volta questo neologismo ad onor del vero, ma con un significato differente, è stato nel 1992 fa lo scrittore Steve Tesich. In un articolo pubblicato sulla rivista “The Nation”, scriveva a proposito della guerra del Golfo: “we, as a free people, have freely decided that we want to live in some post-truth world” (Tradotto: come popolo libero, abbiamo liberamente deciso che vogliamo vivere in una sorta di mondo post-verità).
Fake news e i social network.
Il presidente dell’Oxford Dictionary Casper Grathwohl ha spiegato che “Alimentato dalla crescita dei social network come nuova fonte e da una crescente sfiducia nei fatti offerta dall’establishment, post-truth per qualche tempo ha trovato una base linguistica”. La forza con cui si diffonde viralmente una notizia artefatta, sfruttando i canali dei social media, è molto più destabilizzante della modalità con cui viene smentita. E soprattutto per alimentare una fake news ci vuole pochissimo tempo, per ricostruire la verità, che dovrebbe essere palese, bisogna impiegare tanto tempo e risorse. I social network, infatti, possono informare, coinvolgere e promuovere la democrazia, ma se usati con malizia possono anche rappresentare una grave minaccia se si fanno portatori di informazioni false. E con questa critica veniamo anche ad un’altra parola che è in voga negli ultimi anni. Parliamo del termine disintermediazione. La parola indica ogni processo di rimozione della figura dell’intermediario, La disintermediazione è proprio caratteristica della rete che offre a chiunque diritto di parola e l’opportunità di porsi come emittente al di là del merito e di conoscenze specifiche. Chi fino ad alcuni anni fa era depositario di informazione e conoscenza viene adesso rimpiazzato. Gli intermediari esperti, gli economisti, i medici e soprattutto i politici sono rimasti isolati, circondati da un’avanguardia fatta di risposte facili e di populismi.
Chi ci salverà dalla verità?